Assomigliano per la forma ad un trullo, ma non si trovano nella Valle d’Itria bensì nel nostro meraviglioso Salento. Stiamo parlando delle “pagghiare” maestose costruzioni trulliformi che punteggiano il paesaggio salentino e che sono tra le più sacre testimonianze della civiltà contadina. Isolate o in coppia, di forma conica o quadrata, la tecnica costruttiva a secco si è tramandata di padre in figlio, senza avvertire mai il fascino degli stili. Le costruzioni a secco (dette furni o pagghiàre) rappresentano l’ultima fase dell’evoluzione della capanna preistorica. All’inizio la capanna era realizzata solo con rami e frasche; poi seguì una fase in cui fu realizzato il perimetro in pietra e la copertura con tronchi e frasche, per approdare poi ad un’ultima fase con costruzioni interamente in pietra. E’ possibile distinguere due tipi di furni: i semplici ripari per la pioggia o la calura estiva e per depositare gli attrezzi agricoli; i furni grandi o pagghiare che fungevano anche da abitazione. Le campagne salentine testimoniano dunque, l’abilità di un popolo che ha ereditato dai Messapi, l’arte della costruzione a secco. Le pagghiare erano infatti, riparo temporaneo estivo per le famiglie che nella bella stagione lasciavano le abitazioni in paese e si trasferivano in campagna per curare e custodire le coltivazioni ed il bestiame che avrebbero garantito la sopravvivenza per l’inverno successivo.
Siamo stati a San Pietro in Lama, dove ci ha accolto Damiano Marullo, un ingegnoso e abile creatore e artigiano delle “pagghiare” salentine riprodotte con del gesso, matita e scalpello alla mano, per poi nella fase finale essere dipinte.
Un modo dunque originale per rappresentare il nostro splendido territorio e la vicinanza a quelle che sono le caratteristiche tipiche e le peculiarità della nostra terra e dei nostri paesaggi.