Lo sguardo acuto e attento del giornalista. Le emozioni e i sentimenti vissuti, dall’operaio-scrittore, all’interno dello stabilimento industriale, tre volte più grande della stessa Taranto. Le contraddizioni che hanno sempre caratterizzato l’Ilva, la sua storia, i momenti tragici, le piccole e grandi conquiste.
“Invisibili. Vivere e morire all’Ilva di Taranto”, scritto a quattro mani dal giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Fulvio Colucci e dall’operaio-Ilva e scrittore Giuse Alemanno, è il libro presentato a Lecce, presso il Teatro Paisiello. “Oggi gli operai, tanti dei quali giovani, dell’Ilva -spiegano Colucci e Alemanno- non partecipano più in massa agli scioperi. La città è indifferente. Le norme di sicurezza sembrano rispettate eppure puntualmente tornano morti e grande inquinamento. Sono, appunto, operai invisibili”.
Perché non solamente non vengono illuminati dalla restante parte della città di Taranto, ma alla fine fisicamente sono costretti a fare da soli, dipartito il sindacato, con buio e con il grigio della fabbrica immensa. Con le sue polveri. Nei suoi vapori assalenti.
L’elemento che più impressiona e che viene fuori da questo libro, insieme alla solitudine delle famiglie degli operai ammazzati a lavoro, è la paura di quelli che prima erano per metà metalmeccanici e per metà mezzadri. Sull’Ilva, e quindi su Taranto, ma dunque sull’Italia del mito e del ricatto del lavoro, persino meridionale, ci sarebbe tanto da dire. Passando per ogni malattia della popolazione. Nei tanti che alla fine con il mostro nulla dovrebbero aver da fare. E muoiono animali. Il latte sa di diossina. La paura dei giovani lavoratori passa per troppe cose. Mentre mai definitivamente lo Stato vuole interessarsene.